La bambina del lager

Non c’è profumo né odore di casa tra i legni, solo lacere coperte sui corpi straziati. Piccola e sporca una bambina giace inerme, sognava solo di diventare grande.
La trovarono il 27 gennaio del 1945, il suo nome era Miriam. L’età si seppe poi, 11 anni. Scampata alle camere a gas era finita in una delle casupole di Auschwitz. Occhi di giada, un faccino di porcellana, figlia di un commerciante di Varsavia. La mamma insegnava in una delle scuole della città; Miriam ha 9 anni quando le SS, fecero irruzione nello stabile dove vivevano.
Un palazzo della media borghesia della città, abitato perlopiù da ebrei. Faceva freddo quella sera, molto freddo, ma in casa si stava bene, il papà aveva acquistato una stufa di ghisa l’anno precedente. Circolavano già le voci in città dell’imminente arrivo dei tedeschi, ma nulla lasciava presupporre la tragedia. Le azioni meschine e abominevoli che avrebbero compiuto. Miriam si addormentò come tutte le sere, abbracciata alla sua bambola dagli occhi color pesca. Un rumore assordante, di passi pesanti svegliò il circondario, le urla, dal cortile giunsero al sesto piano.
Entrarono sfondando la porta, erano in sei, con gli occhi iniettati di sangue. Il tenente poteva avere sui trent’anni, mani che fremevano e dava ordini a voce alta.
Miriam si nascose sotto il letto, piangeva in silenzio, mentre suo padre, sua madre e la sorellina più piccola di lei venivano trascinati in strada ed insieme ad altre trecento persone caricati sui camions. Nella confusione non si erano accorti di lei che impietrita era rimasta lì sotto fino a che ogni rumore finì.
Anche gli zii erano riusciti a scamparla quel giorno e la trovarono stremata all’angolo della piazza, con gli occhi lucidi, in pigiama, con la bambola stretta a se. Si rifugiarono tutti insieme nella casa di campagna, ma il destino non risparmiò la voglia di vivere di Miriam. Dopo una settimana ci fu un rastrellamento anche nelle campagne intorno e stavolta non ebbero scampo. Non seppe mai dove fu portato il resto della famiglia. Lei si trovò su un treno, gettata come un animale sul pavimento ricoperto di fieno. Il puzzo insopportabile dopo tre ore di viaggio la fece svenire. Al risveglio era quasi l’alba. Nessuno poteva vedere fuori, i vagoni erano sigillati dall’esterno. Una ragazzona, più alta, riusciva a intravedere da una fessura e raccontava agli altri quello i suoi occhi percepivano. Luce bianca in una valle di lacrime, neve fino a che si poteva vedere, niente ai lati della ferrovia. In lontananza scorse un cancello, nero di ferro, sul quale campeggiava una scritta “Arbeit macht frei”. Era l’inverno del 1943, Miriam sopravvisse, tra gli stenti, fino a qualche giorno prima della liberazione del campo, da parte delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa. La sua bambola dagli occhi di pesca è ancora lì, nel nostro immaginario, a ricordarci quello che oggi stiamo celebrando, una giornata per ricordare un crimine così orrendo contro l’umanità.

Patrizia Portoghese

« Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. »

(Elie Wiesel, tratto da La notte. Wiesel fu rinchiuso ad Auschwitz all’età di 15 anni)

2 Comments on “La bambina del lager (27 gennaio Giornata della Memoria)

  1. Una tragedia immane che non deve essere dimenticata, come non lo devono tante altre.
    Eppure ancora oggi ci sono persone, se così si possono definire, che compiono atti infami ed oltraggiosi verso gli ebrei, come quello di consegnare teste di maiale!!!
    Un grande abbraccio carissima Patty.
    Ciao, Pat

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